Si è seduta davanti al tavolo, ai piedi del letto. Vedevo la finestra con le tendine, le finestre del palazzo di fronte, la testa grigia della signora P.R. tra le mie gambe. Non avevo mai immaginato che, un giorno, mi sarei potuta trovare lì. Forse ho pensato alle mie compagne di università che in quello stesso istante erano chine sui libri, a mia madre che canticchiava stirando, a P. che camminava per Bordeaux. Ma non c’è bisogno di pensare alle cose perché le cose siano tutte intorno a noi, e probabilmente sapere che per la maggior parte delle persone la vita stava andando avanti come prima era ciò che mi spingeva a ripetermi «cosa ci faccio qui».
È con lucida e implacabile precisione che Annie Ernaux ne, L’evento, pubblicato in Francia nel 2000 in Italia nel 2019 da L’orma editore, racconta un evento cruciale per la sua esistenza, l’aborto clandestino reso attualmente noto dalla trasposizione cinematografica di Audrey Diwan, Leone d’oro a Venezia. Poche autrici come la Ernaux sanno far assumere una valenza politica e sociale alle pieghe più intime e riposte della propria esistenza, senza ricadere nella vuota retorica, ma anzi, avendo il coraggio di raccontare in maniera tutt’altro che edulcorata traumi e sofferenze che cercano di essere analizzati e forse superati tramite la scrittura. Un’esperienza di dolore individuale come quella di un aborto nella Francia del 1963, dove questa pratica era ancora illegale, diventa quindi un’occasione di denuncia contro una società che costringeva le donne a rischiare la vita fra le mani delle mammane, inducendole a un’esistenza di menzogna e vergogna, in balìa di medici indifferenti, maschi approfittatori e famiglie cieche.
Pagina dopo pagina, con lo stile scarno e asciutto che contraddistingue l’autrice, si segue il crescendo d’ansia che opprime le giornate di Annie, dall’istante in cui la scoperta della gravidanza la rende una fille perdue, ormai estranea alla placida e rassicurante quotidianità delle coetanee. Sola, abbandonata a se stessa, confortata solo dall’aiuto di qualche amica, Annie persegue il suo scopo, a costo di rischiare la vita. Nel romanzo non vengono lesinate scene di macabra e cruda realtà, che sconcertano il lettore, straniandolo, ma rendendo ancor più sensibile alla denuncia sottesa alla narrazione. La storia di Annie è infatti la storia di una femminilità negata, costretta entro le maglie opprimenti di una società che non conosceva ancora la liberazione sessuale e l’emancipazione delle donne, ma era invece avvelenata da pregiudizi sterili che la facevano precipitare verso le derive più bieche. L’umiliazione e il senso di vergogna di Annie è quindi quello di molte donne, che in tempi diversi e a diverse latitudini, si sono dovute sottomettere a un modo di concepire il mondo e l’esistenza non pensato per loro, ma che le dimentica, le esclude, calpestando, con loro, il diritto di essere donne.
Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo.
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