Al tramonto, in autunno, mentre passeggi tranquillamente nel parco, vedi un vecchio passante, che ti riporta alla mente un ricordo lontano. Descrivi questo ricordo soffermandoti sulle emozioni e le sensazioni che ti suscita.

“L’hai vista? Ma è lei?”
“Non lo so, credo le somigli, ma non può essere lei.”
“No, hai ragione! Però, non me l’aspettavo, mi ha turbata. Quella donna aveva un’aria così stanca, non quello sguardo severo di quando in classe ci spiegava Dante e non ci permetteva di staccare i nostri occhi dai suoi. Ti ricordi come ci scrutava sempre, quasi a carpire se la nostra curiosità fosse sincera o se osassimo distrarci pensando a qualcosa di più frivolo?”
“Sì, era terribile il suo sguardo. Io ero terrorizzata. Mi ricordo che a volte, quando si fissava su di me, mi sembrava mi leggesse dentro e temevo si accorgesse di quanto fossi spaventata all’idea che mi rivolgesse una domanda.”
“Anch’io mi sentivo così. Ma sai che ora mi piacerebbe poterle parlare, ora che mi sento più sicura di me, che ho imparato ad apprezzare davvero quello che ci insegnava… Sarebbe stimolante confrontarmi con lei o anche solo ascoltarla senza ansie e senza sentirmi giudicata.”
“Io sarei ancora terrorizzata. Figurati! Confrontarsi con lei. Ma scherzi! Io non sarei in grado anche oggi di spiccicare una parola e mi farebbe sentire ancora più stupida e impreparata.”
“Tu sei paranoica, però! Abbiamo cinquant’anni adesso, che paure hai? Alla peggio ci facciamo due risate.”

Certo che mi fa tenerezza ripensare a quanto ci sentivamo fragili e confuse ai tempi del liceo.
“Io mi sento ancora così.”
“Ma smettila! Non ci credo. Non siamo più quelle ragazzine. Adesso guardo alla me stessa adolescente con più indulgenza. Come puoi sapere cosa vuoi fare nella vita, che persona vuoi diventare, quando tutto ti mette in crisi, quando non sai se quello in cui credi di valere qualcosa non ha ancora avuto la possibilità di essere sperimentato, se non ti sei messo alla prova? Quante paure a quell’età, di essere giudicati degli incapaci senza talenti, solo perché i primi a giudicarci così eravamo innanzitutto noi stessi.”
“Beh, non so tu, ma io a cinquant’anni ancora sono convinta di non avere alcun talento.”
“Tu sei troppo ipercritica e severa con te stessa. Sei sempre stata una persona intelligente, sensibile, profonda. Ti pare poco? Eri la più brava della classe!”
“E cosa ne ho fatto di quei talenti? Una relazione sentimentale catastrofica che mi ha procurato solo insoddisfazioni. Mia figlia che in questo periodo non mi parla neanche più e mi rinfaccia di non capirla. Un lavoro che non mi piace e non mi è mai piaciuto. A che mi è servito essere la più brava della classe?”
“Tu guardi te stessa con un occhio diverso da quello con cui ti vedo io. Io vedo una donna brillante, spiritosa, forte, che ha saputo rimanere se stessa dopo una relazione faticosa con un uomo poco equilibrato ed emotivamente fragile. Tua figlia è uno splendore, indipendente, una ragazza che sa quello che vuole, serena e che sta affrontando senza drammi la vostra separazione. E non è vero che non ti parla più. Lei ti adora. Ha solo bisogno di staccare il cordone ombelicale, di trovare se stessa come diversa da te. Ma ti stima e ti vuole un gran bene.”
“Sarà, ma io mi sento un fallimento. Come allora, quando in quell’aula spoglia e disadorna mi chiedevo perché mi sentissi così inadeguata alla vita.”
“Non eri e non sei inadeguata. Avevi solo bisogno di trovare il tuo spazio, unico e speciale come sei tu.
Che nostalgia, però, di quei tempi! Forse al liceo non tornerei, ma quanto era bello passare le ore ad analizzarsi, a parlare delle nostre esperienze così tormentate, a ridere come matte per un nonnulla. Non rido più così da anni. Ora ci vediamo poco. Ognuna è presa dai propri impegni e non troviamo neanche il tempo per pensare a come ci sentiamo.”
“Hai ragione. Quei pomeriggi a casa mia erano a volte vere sedute psicanalitiche, da cui uscivamo ritemprate ma soprattutto consapevoli di avere un’amica disposta a farsi carico dei tuoi problemi, capace di sostenerti e capirti. Adesso mi rendo conto che non ho più quell’energia per andare così in profondità con qualcuno. Spesso ci limitiamo a scambiarci dettagli insulsi delle nostre vite, quasi temessimo di svelare quello a cui teniamo veramente, preoccupati di dare un’immagine di noi vincente e soddisfatta.”
“Sì, fa paura chiedersi se il percorso che abbiamo fatto era quello che avremmo voluto. Se abbiamo trascurato qualcosa di importante. Se siamo diventati cinici o qualunquisti. Allora, per un’ideale, avremmo fatto l’impossibile. Ora non troviamo neppure la forza di confrontarci col mondo o di provare a cambiarlo.”

“Guarda, sta passando ancora quella signora! Chissà perché ha quello sguardo triste…”
“E se le parlassimo?”
“E cosa le diciamo?”
“Non lo so. Magari si sente sola. Guarda, si è seduta su quella panchina!”
“No, dai, io devo andare adesso. Si è fatto tardi, il sole è quasi tramontato. Ho da fare.”
“Guardami! Hai da fare? Cosa abbiamo detto finora? Sprechiamo il tempo in mille impegni e non possiamo dedicare dieci minuti a una persona che forse ha bisogno di qualcosa? O qualcuno?”
“Tu fa’ quello che vuoi. Io vado.”

‘’Scusi signora, posso sedermi qui?’

Lorella


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