Lo straordinario nel quotidiano: racconta un episodio di vita quotidiana, anche apparentemente insignificante, inserendo all’interno del testo il topos della conversazione.
I passi risuonarono nella stretta tromba delle scale, prima più posati, man mano sempre più urgenti. Lei se ne accorse, sorrise. Si sistemò al meglio il ciuffo ribelle che sempre le cadeva davanti agli occhi, un tempo nero corvino, ormai grigio, e preparò il suo migliore sorriso.
La porta si aprì. «Mamma!», esclamò l’uomo corpulento, dalle mani grandi, la barba scura, chiazzata dal fumo di troppe sigarette, il completo grigio, sartoriale, di tessuto finissimo, già scomposto, la cravatta borgogna, in seta finissima, svolazzante, precaria, legata da un precarissimo Windsor al collo che le apparteneva. Gli occhi di quell’omone però erano lucidi. Le corse accanto con impeto, le prese la mano, ancora in piedi, fremendo ripeté: «Mamma».
«Nino…», mormorò lei sorridendo, la voce che leggermente tradiva l’origine remota, nelle terre di Sicilia. «Siediti, Nino, ‘a mamma, siediti. Guarda come sei conciato! Hai corso? Poi sudi, non ti fa bene».
«Mamma», disse lui con un sospiro, «Non pensare a queste sciocchezze».
«La salute non è una sciocchezza!», ribatté piccata.
«Sì… la tua?», disse con enfasi e abbassando poi il tono: «Come ti senti?».
«Come dovrei sentirmi, tesoro mio?».
«Scusa, hai ragione…».
«No, Nino, non scusarti. Ti scusi sempre troppo».
«Io…»
«Come va il lavoro?»
«Come sempre, nulla di che»
«Hai risolto con quel ragazzo?»
«Chi? Russo?»
«Non ricordo», mormorò lei sorridendo.
«No, ma figurati, è totalmente impreparato. Affidargli il reparto di ticketing è stato un errore, dovrò per forza prendere provvedimenti. Tra due mesi c’è il go line della nuova piattaforma, terremo un evento in Via delle Industrie, vedrai, sarà…», si interruppe, «Sono puttanate», concluse seccamente.
«Non essere sboccato», disse lei, guardandolo severa. L’omone sembrò farsi più piccolo davanti allo sguardo della madre, piccola, magra, fiera, con indosso solo una lunga elegante camicia da notte, seduta in mezzo al letto troppo grande.
«Non devi arrabbiarti, c’è tanto che ti aspetta, devi restare lucido, per Fiore, per tuo padre, poveretto, e per me, amore mio. Capito?». Gli accarezzò la mano. L’omone piangeva come un bambino, in silenzio. Ogni tanto singhiozzava.
«Dai, dai.. con Fiore avete deciso?»
«Dici per il matrimonio?»
«Certo»
«Ma mamma, come potremmo?»
«Potete? Dovete! Povera figlia… e poi anche tuo padre, lo aiuterà a distrarsi».
«Mamma… io non…»
«Amore mio, soffri, piangi, ma non dimenticare, questa è la vita, giurami che non ti lascerai andare».
«Te lo giuro».
«Bravo ‘a mamma. Dimmi dei fiori…».
Continuarono a parlare, fermandosi solo per cena. Il figlio aiutò la madre imboccandola. Ore dopo lei gli disse:«Tesoro, è tardi, devi andare a riposare».
«Certo».
«E anche io sono stanca».
«Va bene, mamma».
L’aiutò a sistemarsi per la notte, infine le posò un lungo bacio sulla fronte.
«Allora vado. Buonanotte, mamma, a domani».
Lei lo guardò, sorrise. «A domani, tesoro mio, buonanotte».
I due si guardarono e si salutarono così.
Vincenzo
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