Lo straordinario nel quotidiano: racconta un episodio di vita quotidiana, anche apparentemente insignificante, inserendo all’interno del testo il topos della conversazione.

“Ti va di andartene?” mi chiede John.
“Perché? Non ti piacciono questi discorsi?”
“Futili e patetici” mi disse.
“Ma sono i tuoi genitori!”
“Allora i miei genitori solo patetici.”

Era vero: la famiglia di John era particolarmente particolare; il padre mercante e la madre – “non so che lavoro faccia mia madre“ mi sbolognò un giorno – stavano discutendo animatamente su cosa portare a cena dei Freyer.

“Pollo, salmone?”
“Salmone no, caro, ha le spine e le squame, ci sporcheremmo le mani e non sta bene, non si fa! Un po’ di educazione…”
“È un pesce, mamma, e all’odore di marcio dovresti essere abituata.”

Guardò il padre.
Arida Anima Animale, era il soprannome datogli da John.

“Allora vada per pollo.”
“No caro, non si può! Dovremmo avere a che fare con tutte quelle ossicine, tutto quel grasso… No, no, no e poi no.”
“Almeno non è rammollito. Non come la cara vecchia mamma.”
“Basta John!” dissi tra i denti, spazientita.

Mi fissò intensamente e con un accenno si scusò.
Così, dopo essersi alzato, mi chiese di andarcene; accettai, avevo caldo.

Eravamo nel Winconstin ed era luglio.
Mi sono sempre vergognata del fatto che sudassi. Di tante cose puoi conoscere l’andatura o la direzione, ma del sudore, quello no; sfugge ai calcoli e alle regole, e quando per la prima volta incontrai John il mio corpo si accaldò all’istante; il tempo si immerse in un bicchiere di gelato al cioccolato e, ad ogni mio battito, si sciolse.

John amava il gelato, anzi il gelato al cioccolato, anzi il gelato al cioccolato in un bicchiere.
“Così, quando lo finisci, ti versi del Baileys e lo bevi” mi spiegò una sera ottobrina ad una cena in compagnia di altri suoi amici.
“Baileys?” bisbigliai confusa.
Sotto un pergolato ricco di foglie dai colori del sole, Marcel, un omone con lunghe basette, mi rispose: “Non so se lo sai, ma porta sempre, nel giacchino, una fiaschetta riempita di questo famoso liquore, il suo preferito. Ecco perché ha sempre voglia di gelato, quel maledetto ubriacone.” 

Ridemmo. 

Ma quel primo giorno, ignara di chi fosse John River, cercai di camuffare, con movimenti goffi e sgraziati, il sudore sulla mia fronte.
Se ne accorse, e con sguardo divertito mi chiese perché stessi reprimendo il mio “pianto corporeo”. 
“Non si reprimono le lacrime, non si fa.”

Ora che ci penso, dalla madre tanto odiata ereditò unicamente questa frase, da lui pronunciata frequentemente: non si fa.

Mi chiese di fare una passeggiata già la mattina successiva.
Ma non vi svelerò come i nostri occhi si attrassero… non si fa.

Sofia 


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