Diario di un’evasione

Oggi, dalla prigione

Non ne posso più, voglio uscire, uscire, uscire. Nient’altro. Penso che potrei impazzire per il desiderio del mondo fuori. Che poi, cosa sia fuori non lo so nemmeno. Per me è tutto quello che non è qui dentro.
Dentro è umido, buio, freddo, appiccicoso. Fuori deve essere asciutto, luminoso, tiepido, pulito. Dentro è un’attesa infinita di non so che cosa. Fuori deve essere il paradiso. Dentro è un incubo senza fine. Fuori un sogno senza tempo. 

Oggi va peggio del solito, anche se non so come sia possibile dire davvero oggi e distinguerlo da ieri. Il tempo è una sostanza collosa e scura come la pece che mi avvolge e mi inghiotte inesorabilmente e che non finisce mai. Mi chiedo da dove venga quest’idea di giorno, di scansione del tempo. Forse viene da quel sostrato della mia immaginazione da cui vengono i miei sogni: la memoria sfumata di un tepore sul corpo che non ho mai provato, una luce trasparente che ha la sfumatura della speranza, la compagnia di qualcuno accanto a me.
Sono come idee di una vita precedente.

È come se questo spazio diventasse sempre più stretto e claustrofobico, come se lo spazio vitale mi si stringesse intorno. Non posso muovermi, mi contraggo, soffoco. Non ho nemmeno lo spazio di stiracchiami. Se potessi stiracchiarmi, non ho mai desiderato così tanto stiracchiarmi. Santo cielo perché non posso stiracchiarmi?! Si può morire per non essersi stiracchiati, ne sono certo. Aiuto, aiutatemiiiiiiii.
Basta, non devo perdere la calma.

Stanotte (è mai stato un tempo che non fosse stanotte?) ho fatto un sogno bellissimo. Sembrava così naturale, chiaro e logico, ma adesso non ho più le parole per descriverlo. Me n’è rimasto solo il sapore addosso. C’era un cosa bellissima, grandissima, profumatissima che era come…  non saprei nemmeno come parlarne. Imprigionato qui dentro non ho nemmeno i paragoni per descriverlo. Chiunque mi abbia rinchiuso in questo posto mi ha tolto perfino le parole per sognare. Sicuramente il mio sogno era tutto quello che questo posto non è. Forse era Libertà.

Qualcosa di strano sta accadendo, lo sento. Forse stanno facendo qualche vergognoso esperimento sul mio corpo. Mi sento cambiare e ho paura, una paura matta che a un certo punto non ci sia nemmeno più un io che possa gridare, soffrire e aver voglia di stiracchiarsi.
Che cosa mi state facendo? Vi odio, vi detesto. Lasciatemi in pace, lasciatemi morire. L’ho capito, che mi state cambiando. Non so come, se lo fate con questo liquido viscido in cui mi lasciate ammollo, o se venite qui quando perdo coscienza. 

Non ne posso più, fate quello che volete.

E se non ci fosse nessuno a tenermi rinchiuso qui e la vita fosse davvero solo questo? Se i miei aguzzini in realtà non esistessero o se ne fossero andati molto tempo fa? Magari ho passato così tanto tempo a odiarli che mi sono dimenticato di averli inventati io. Magari ho passato talmente tanto tempo a detestare la sensazione bagnaticcia e insopportabile di questo posto da non provare nemmeno a evadere.

E se provassi a spingere questa parete? Me la immaginavo più impenetrabile, invece sembra che abbia la consistenza della cartapesta bagnata. Credo che stia cedendo… sì, cede! Posso uscire!
Sono fuori.

Davanti a me c’è una cosa bellissima, grandissima, profumatissima: qualcuno la chiama Cielo, io preferisco chiamarla Libertà.

25 marzo 2020, giardino di casa mia

Oggi uno dei bozzoli del mio giardino è nato e una bellissima nuova farfalla ha spiccato il volo!

Chiara


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