Racconta la liberazione di un personaggio che abbia le seguenti caratteristiche:
è una donna
ha ventisei anni
è balbuziente
è irascibile
vive nei sobborghi di Roma
con una capra.
L’autista della corriera che dalla Magliana porta a Ponte Milvio ne ha visti di passeggeri con bagagli strani, ma questo è senza dubbio il bagaglio più strano di tutti. Non è un trolley né una borsa della spesa né una cinepresa. Non è un cane né la gabbia di un esotico pappagallo né una vaschetta di tartarughine. Quella giovane donna né bella né brutta, né elegante né sciatta, tiene per il guinzaglio una capra. Grigia, dalle corna lunghe e un campanaccio col collare rosa legato al collo, gli occhi neri, fieri e vivaci come quelli della sua padrona. L’autista non batte ciglio, conosce la ragazza, che prende la corriera almeno due volte al giorno.
“Ciao, Paola” la saluta.
“M-m-ma v-v-v-và a-a-a-a mo-mo-morì am-am-amma-ammazzato, c-c-c-c c-c-che s-s-stai q-q-q-q-q—qua-quarantacinque mi-mi-minuti i-i-i-in ritardo, và!” ricambia lei.
Quando però a Ponte Milvio deve cambiare e salire sul tram che porta ai Fori Imperiali, il conducente non è così comprensivo e si oppone:
“No, signorì, l’animale nun pò salì”.
Gli occhi di Paola, già ardenti, si infiammano ancora di più:
“E p-p-p-perché n-n-nun po’, sc-scusi?” ringhia “C-c-c’ ha l-la m-m-mu-museruola, c-c-c-c’ho f-fatto l-l-l b-bagno, è n-n-na b-b-be-bestia b-b-bona co-come ‘l pane!”
“Sì, arrosta!” commenta uno dei passeggeri seduti.
Paola gli si scaglia contro minacciandolo di morte in diversi modi che le piacerebbe mettere in pratica, trattenuta a stento dal conducente. “Possiamo continuare il viaggio? Qua c’abbiamo tutti una vita e se fa tardi!” brontola quella che vorrebbe sembrare una donna in carriera, scatenando la reazione di più sopra di Paola, che stavolta riesce ad afferrarla per i capelli
“A-aò, d-d-devo s-salì pu-pure io, lo c-c-capite o n-no?” urla.
“Lei sì, la capra no!” chiarisce il conducente
“E c-c-che, l-l-la mo-mollo qua? È l-la c-c-c-capra d-d-de Nonna, t-tutto q-q-quel c-che m-m-m’è r-r-rimasto!” si oppone Paola.
Non riceve compassione alcuna, solo risate di scherno e insulti.
“E a-allora sa-sapete c-c-c-che v-v-v-ve d-dico? M-m-me l-l-la f-f-faccio a p-pi-piedi, a-a-annate –t-tutti a-a-a mo-morì a-a-ammazzati, l-l-li m-m-mo-mortacci v-vostri!” dichiara, voltando le spalle alle porte che si chiudono.
È troppo tardi quando tutti si accorgono delle palline nere che la capra ha lasciato chissà quando proprio in mezzo al corridoio del tram.
Paola lascia partire il mezzo, guarda la capra, l’accarezza dolcemente, la stringe a sé e le dice con tenerezza: “Nun darce retta, Gelsomì, te s-s-sei la capra p-p-pi-più m-m-maggica d-der m-monno”.
Poi si avvolge il guinzaglio intorno alla mano e si dirige con passo sicuro verso il centro, chiamando “infami” quelli che la deridono e spintonando quanti vogliono fare foto col cellulare alla capra.
Arriva al Gianicolo, davanti ad un palazzo dalla sontuosa facciata in stile liberty sormontata da una bandiera dell’Europa, una bandiera rossa e una bandiera con il simbolo dell’anarchia. Un’ iscrizione in marmo travertino dichiara che quella è la sede del CENTRO SOCIALE A. GRAMSCI. Paola si mette sul marciapiede insieme alla capra e si mette a gridare: “E-e-ernesto B-b-b-b-bilotti! E-e-ernesto B-bilotti!!”. Dal suo ufficio in Amministrazione, seduto alla scrivania, Ernesto Bilotti sente quel richiamo e crede che sia un sicario della Mafia o di Casa Pound. Ordina ad uno dei ragazzi di affacciarsi alla finestra per veder chi è. Quello obbedisce e, mentre Ernesto, composto e solenne si prepara al martirio, gli dice senza riuscire a smettere di ridere: “È una ragazza con una capra nel parcheggio!”
Anche Ernesto ride, ride fino alle lacrime, poi va alla finestra e si sporge, visto che non vuole consumarsi le sneakers nuove per scendere fuori dal palazzo. Sorride con condiscendenza mentre chiede a quella bella figliola che cosa voglia. Ma Paola non sorride. Il suo volto è rosso come la bandiera per la rabbia.
“E-ernesto B-b-bilotti, i-il m-mese sc-sco-scorso a-a-avete f-f-fatto u-una m-m-manifestazione vi-vicino al Centro Co-commerciale Samsonite e v-ve si-siete me-messi a s-spaccà t-tutto, d-dì che n-nun è vero!”
“Non è vero, è stata una manifestazione pacifica di solidarietà con i prigionieri politici tunisini” replica lui seccato.
“S-s-sei p-p-pure ‘n b-b-bu-bugiardo, p-perché a-a-avete d-d-distrutto l-la v-v-ve-vetrina d-del negozio ‘ndo l-l-lavoravo e p-pure ll’ a-a-automobile mia, che m-me serviva pè v-venì al l-l-l-lavoro!”
“E chissenefrega!” commenta lui.
“E-e c-c-chissenefrega ‘n par de cojoni, m-mò me d-d-dovete ri-risarcì der d-d-danno che m’ avete f-f-fatto!”
Ernesto Bilotti non è più divertito. Serra le labbra e tuona:
“Di che farnetichi? Curati la balbuzie e vattene affanculo, che è meglio! Fila via, và, brutta pazza!”
Il lampo negli occhi di Paola si accende ancora di più.
“M-m-me l’ a-a-aspettavo, s-s-sai. Me lo p-p-pijo d-da m-me, ‘r – r-risarcimento”.
E conduce la capra fino all’automobile parcheggiata più bella, nuova e pulita. Ernesto Bilotti impallidisce.
“Aò, che fai? Leva quella bestia da lì, subito!” intima. Paola sogghigna.
“C-che, n-n-nun s-sarà m-mica la t-tua m-m-macchina?” chiede con fare innocente.
“Ma che vuoi fare? La devo ancora finire di pagare!”
“L-la m-m-mia l-l-l’ a-a-avevo ap-ap-appena f-f-finita d-de p-p-pagà”.
Poi si rivolge all’animale, l’accarezza e le dice: “V-vai, Gelsomì!”. A colpi di corna la capra spacca l’auto, i vetri, i lunotti, le luci, la carrozzeria, fa a pezzi i motorini di fianco, proprietà degli altri membri del gruppo. Paola contempla compiaciuta i rottami infranti e se ne va in fretta con la capra al guinzaglio prima che qualcuno la possa fermare.
“Che liberazione!” sospira, rasserenata e felice.
Cristina

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