Racconta la liberazione di un personaggio che abbia le seguenti caratteristiche:
è una donna
ha ventisei anni
è balbuziente
è irascibile
vive nei sobborghi di Roma
con una capra.

Ventisei anni di vita e manco uno sereno.
Mamma, quando l’ho chiamata, mi ha detto che ci vuole del talento a buttare nel cesso una carriera intera per una cazzata del genere. Però chissà di che carriera parlasse. L’ultima volta che ho controllato, per fare carriera spacciando c’è da essere ambiziosi o colombiani.

Ho dovuto chiamare la disgraziata perché le guardie da sola non mi facevano uscire. Dico, avrei chiamato a casa, ma Michè sarà strafatto sul divano e Bibbi ancora non ha sviluppato i pollici opponibili per rispondere al telefono. Stupida Bibbi – per gli amici Bibbi – è la capra d’appartamento su cui testiamo le droghe nuove. È capra, sì, ed è stupida, ma non perché è capra. Prova a dare del peyote ad una capra: a fine giornata sarà riuscita a convincerti che non solo parla, ma che per esse’ de Roma devi esse’ quadrupede. Storia vera. Ci abbiamo messo quattro giorni a riprenderci. 

Probabilmente ci sono così tante leggi contro il nostro stile di vita – di Michè, di Bibbi e mio – che non ho problemi ad ammettere la mia colpa per questi ventisei anni poco sereni. 

A partire dall’asilo, mamma m’ha detto che “qui a Rebibbia ognuno è per sé, eh. Un te fa’ scassare de mazzate e stai lontano dalle guardie”. Che bisogno c’è di dire ad una bambina una cosa così? Dillo, che la vuoi crescere gangster.

Va da sé che l’ho presa un po’ alla lettera e io alle guardie ci sto attenta, ma sono sempre loro che vengono a prendere me. Mi spiego.

Crescendo abbiamo scoperto che non so parlare. O meglio, so parlare, ma dopo sei o sette sillabe di incoraggiamento. Non che avessi granché da dire, però così ho anche scoperto di avere la perfetta scusa per gonfiare la faccia a chiunque mi prendesse in giro. Ci ho preso gusto e, tra frequentazioni discutibili e sostanze sognanti, son finita ad alzar le mani ad una guardia una sera, e quella è stata la prima volta che m’han messo dentro e mamma è venuta a prendermi. Poca roba, avevo quattordici anni e i pischelli li lasciano fuori con una strigliata.

Io dico, mica è tutta colpa mia se la gente si impegna a farmi incazzare. Immagina di non riuscire ad urlare in faccia a un coglione che ti tira una pacca sul culo perché non sai parlare. Che fai, ti giri e gli tiri ‘na centra, no?

Che poi, a parlare così mi sembra di essere coatta, però aveva ragione mamma, a Rebibbia ognuno è per sé. Se dovessi ogni volta aspettare che intervenga Michè avrei più mani d’altri che sue, addosso.

Vivere da sola è una pacchia, se non conti la capra come compagnia. E Michè tecnicamente non vive con me, non lo voglio un tossico così intorno sempre. Una volta me lo so’ trovato in overdose sul tappeto e lì son stati guai. 

È una fortuna che in quel cesso di posto Ciro non entri mai – Ciro è il padrone di casa, un po’ losco, quindi nessun problema per i graffiti sui muri e i clienti, ma ama gli animali, e se scopre di Stupida Bibbi ci denuncia all’ENPA. Che poi finire dentro per maltrattamento di animali è proprio da infami. Maltratta una vecchia, piuttosto.

Guarda te se tra spaccio, capre allucinate e vandalismo mi dovevano beccare proprio mentre minacciavo Giorgino con un piccone. Una si impegna per minacciare in modo creativo e poi spunta lo sbirro da dietro l’angolo, ti punta addosso il ferro e non puoi più ricordare a Giorgino che “i mie-miei ma-ma-glioni non te li d-d-devi mettere, Giorgì”. Giorgio è mio fratello, ma la guardia non ha voluto sapere niente. Manette e via.

Quindi chiamo la mamma che chiama Giorgino e lo obbliga a venire in centrale. E in centrale Giorgino spiega a Merigo (m’ha arrestato così tante volte che ormai siamo amici) che sono un po’ una testa calda e che scherzavo. 
“So’ diesc’anni che scherza”. 
“Do-dodici”.
Mentre camminiamo fuori dalla centrale, Giorgino mi chiede se voglio andare a fare un giro in centro.
“T-te s-sei matto”.
Ci stanno sempre un sacco di turisti in centro. 
“I-In c-centro ci vado solo se mi d-devono m-m-metere a Regina C-c-oeli. Me ne vado a casa”.

Giorgino alza le spalle e mi fa andare. Cancello, portone e porta di nuovo. Do due giri di chiave, una spallata. Bibbi bela dalla sedia.
È più persona lei di Michè, per come se ne sta seduta. 

Prendo l’involto di stagnola e preparo l’ago, l’accendino, il laccio, e penso a come non sopporto d’essere così.
Non balbetto solo quando mi faccio.

Anna


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