Niente, volevo dirti che quel signore mi ha ricordato te. Mi dava le spalle e guardava qualcosa lontano. Quando sei rimasto solo ti ho immaginato così: che mi davi le spalle, che mi evitavi, che prendevi le distanze mentre guardavi qualcosa che non c’era più.

Non so dare forma a ciò che provo quando ti ricordo, ma se dovesse esistere una specie di “spettro” delle emozioni – come quello dei colori – tu saresti a metà tra l’affetto e l’inadeguatezza. C’è sempre stato un muro tra me e te, anche se in fondo sapevo che era solo il tuo modo di volermi bene a due passi di distanza. Io però mi sentivo inadeguata, incapace di raggiungerti e farmi notare da te. Questa sensazione mi ricorda quando da giovani andavamo insieme in bicicletta. Tu eri un appassionato, avevi una di quelle biciclette super leggere che usano solo i veri ciclisti. Io ti stavo dietro arrancando con una mountain bike pesante. Ti giravi per controllare che io fossi vicina solo quando, per prendere fiato, abbassavo lo sguardo. I nostri occhi si sono incontrati raramente. Avrei voluto dirti: “Guardami, sono qui!”

Mi sono avvicinata a un signore al parco, mi sembrava di riconoscere quelle spalle, sembravano le tue. Ho incrociato il suo sguardo e non so dire se fossi tu, i tuoi occhi li ho potuti guardare così poche volte. Quel signore al tramonto che ha le tue spalle mi ricorda cosa vuol dire perdere, soffrire, sentirsi inadeguati, amati.

Sara


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