Racconta con focalizzazione interna e narratore in prima persona di quella volta in cui ti sei resə conto che stavi sbagliando e di come sei riuscitə a ridare il giusto corso alla tua vita.

È arrivato all’improvviso un giorno di metà ottobre, il tempo delle scelte, quelle condotte da altri e non da me. Quelle che io non avrei mai immaginato di dover compiere, eppure mi ci sono trovato faccia a faccia senza accorgermene. Addirittura stentando a crederci, tanto pensavo diritta la strada davanti ai miei piedi, prosecuzione scontata di un cammino già disegnato nella mente. 

Ma evidentemente mi ero perso qualche lampo, perché al tuono decisivo – quello prima del temporale – sono arrivato senza ombrello. Così l’ho preso tutto l’acquazzone, cercando inutilmente un riparo nel deserto. Fradicio e disorientato, imprecavo contro il fato avverso, che mi colpiva proprio con la mano di chi avevo più cara. 

Mentre il temporale diventava un uragano, istintivamente corsi davanti al mare per cercare rifugio – tante volte me lo aveva offerto –, ma lo trovai che ululava e sbatachiava da ogni parte i sassi e le conchiglie a cui ero più legato. Raccolte in un respiro tutte le mie forze, ho cercato di oppormi alle onde più violente, quasi volessi aggrapparmi alla salsedine.  

Ho resistito alla prima, ho barcollato alla seconda, la terza mi ha travolto. Dentro i flutti bevevo e sputavo, ma più sputavo e più bevevo. Così, quando mi sono accorto che di aria me ne era rimasta appena a sufficienza per un “ciao”, ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato andare: “Accada quel che deve accadere, seguo la corrente”. Era spuntato un barlume di fiducia, lieve ma inesauribile, che mi ha condotto quasi senza sforzo a sbucare con la testa dall’acqua e ritrovare l’odore dell’ossigeno – lo senti solo quando ti è mancato –, scoprendo quel respiro che sa così intensamente di vita perché era a un soffio dalla morte. 

Allora tutto è stato sorprendentemente più chiaro: non potevo oppormi alle onde che arrivavano impetuose, e in fondo avevo capito di non volerlo più fare. Così, ho scovato lì vicino una tavola da surf che prima non avevo notato, preso com’ero dal vano tentativo di fermare la tempesta. Ci sono saltato sopra a cuor leggero ed ho iniziato a scivolare, un’onda dopo l’altra, finché – chissà come – mi sono ritrovato in cima ad una montagna. Come un arcobaleno dopo le peggiori tempeste, è apparso un pensiero: “Guarda te, dovevo perdere quei sassi e quelle conchiglie che tanto amavo, per poter ammirare questo meraviglioso panorama”. Mi sentivo respirare come forse mai avevo fatto prima, e desideravo semplicemente cavalcare altre onde e raggiungere altre vette.

Enrico Catalano


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