Ti arriva un SMS da un numero sconosciuto, che ti invita al tè del Cappellaio Matto. Dopo un attimo di esitazione, e dopo aver appurato, con ancor più stupore, che nessuno dei tuoi amici ha ricevuto quel messaggio, decidi di mettere da parte tutti i tuoi timori e di recarti a questo fantomatico appuntamento. Sai solo che anche una certa Lucy è stata invitata…
Il telefono vibra. Pensavo fosse Paolo che – come sempre – il sabato alle 14:00 in punto mi ricorda l’appuntamento serale con “La gang del bosco”. Sì, proprio così: siamo il gruppo di sfigati dal giorno zero. Dall’asilo fino alle elementari, medie e, certo, anche superiori. Guardo, già annoiato, lo schermo e rimango di stucco: numero sconosciuto.
Numero sconosciuto? Ma il numero sconosciuto non si usa dai tempi degli scherzi telefonici – penso tra me e me.
“Alle 21:00 di questa sera, sabato 4 aprile, ti aspettiamo per un tè in compagnia. L’indirizzo qui di seguito: Via Stralunati n° 10, Palazzo del Cappellaio Matto. Ad accoglierti ci sarà anche Lucy.”
Ok, è uno scherzo dell’idiota di Paolo, mi dico. Avrà scritto a tutti questa cavolata.
Poi il telefono vibra ancora, un nuovo messaggio da Paolo, 14:05, che mi dice: “We, bradipo, stasera confermato: tutti da Luca alle 21:00”.
Prendo in mano la situazione: nuovo messaggio – mio – in “La gang del bosco”. “Ragazzi, quindi stasera cambiamo? Alle 21:00 dal Cappellaio Matto?”
A quel punto è un seguitare di vibrazioni: Cosa stai dicendo? – Oh, ma la roba buona mai che la fumi in compagnia eh. – Mai che condividi, egoista.
Realizzo, così, che nessuno dei miei amici ha la minima idea di questo invito. Mi siedo sul letto, le gambe a penzoloni, lo sguardo perso rivolto alla finestra. È questione di un attimo, nella mia mente passa solo: Lucy, stasera, 21:00, Cappellaio Matto.
Istintivamente, alzo il braccio e il mio naso finisce dritto sotto l’ascella: ma quanto puzzo?! Mi devo una doccia, mi devo un restauro. Lo devo a me, lo devo a Lucy. Ma poi, chi è sta Lucy?! Mi infilo sotto l’acqua bollente, sperando basti per spazzare via questo odore di giovane con gli ormoni a palla. Trasudo l’essere sfigato da tutti i pori, almeno potrei cercare di profumare un po’ di più.
Pacco clamoroso ai miei amici storici, una scusa come tante: “Ho la febbre, stasera salto.” E infatti salto, ma salto in sella alla mia Bianchi e sfreccio verso via Stralunati n° 10. Una pedalata dopo l’altra prendo consapevolezza del ridursi della distanza; il cuore batte così forte che mi ricorda quei tamburi che oggi vanno tanto di moda tra i musicisti, quelli che accompagnano le canzoni moderne, quelle “fighe”. Che poi, sarà, ma a me riportano solo indietro nel tempo, a un me di dieci anni con il pacco costretto nella calzamaglia per lo storico palio cittadino.
Arrivo al palazzo, l’ingresso maestoso supera ogni mia aspettativa. Al portone, però, mi attende un coniglio. “Benvenuto, Lucy è già in pista, entra pure.” Entro e rimango a bocca aperta: una sala immensa, con teiere di tutte le dimensioni, dai colori e dalle forme più strampalate.
E poi lei, Lucy, eccola: in tutta la sua bellezza, splendente, come mai me la sarei aspettata – perché effettivamente non sapevo chi aspettarmi.
E poi loro, un gruppo di asini glitterati danzavano nel cielo intonando l’inno del palazzo: “Oh Lucy, Lucy, perché sei tu Lucy?”
“Ah, ma quindi è vero” – mi ritrovo a dire con la bocca impastata e un dolore insopportabile alla testa. – “Anche gli asini volano!” esclamo sorridendo.
Un sorriso che dura poco, uno schiaffo in pieno volto e debole, come provenisse da un’altra galassia, la voce di mia madre: “Deficiente, la prossima volta che combini una cosa simile voli tu, ma fuori dalla finestra!”.
Ilaria Tacchino
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