Racconta la liberazione di un personaggio che abbia le seguenti caratteristiche:
è una donna
ha ventisei anni
è balbuziente
è irascibile
vive nei sobborghi di Roma
con una capra.
Pestando una merda di cane si lasciò scappare ad altissima voce un insulto per la madre di quel Pariolino di merda che non aveva voluto sporcarsi le mani per raccoglie le deiezioni del suo prezioso bulldog francese. Una anziana signora la guardò, come se quella vagonata di odio fosse diretta a lei. Le fece un medio: cosa aveva da guardare quella vecchia? Si accese una sigaretta, fece tre tiri, la buttò per terra. Girò le chiavi nella toppa, salì le scale sbattendo i piedi più forte che poteva fino al terzo piano, entrò in casa.
Era stanca, sentiva il peso delle poche ore dormite spingere le sue occhiaie sempre più giù, sempre più in profondità. Raccolse il cibo di Capra da terra, buttò il piatto nel lavandino. Si tolse le scarpe e si massaggiò i piedi per qualche secondo prima di dirigersi verso camera sua. Tirò un calcio ad uno di quei giochini stupidi di Capra con una violenza tale da scaraventarlo contro il divano. Probabilmente lo aveva rotto. Non poteva fregargliene di meno.
Vide Capra sul letto, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato prima di uscire la mattina. Forse era morto. Lo spinse giù dal letto.
“Aia! Ma sei scema?”
“D-d-dai coglione, alzati. Non p-p-potevi fare un cazzo di qualcosa mentre ero al lavoro?”
“Ho lavorato anche io, sai? Ho caricato tre video di Fortnite pomeriggio.”
“Ah, potrei averti rotto la ca-ca.cazzo di console. Le ho tirato un ca-ca-calcio.”
“Che cazzo fai? Io ci lavoro con la Play!”
“Lo youtu-tuber non è un lavoro, fino a quando non p-p-porti a casa de-de-dei soldi.”
“Ci sto lavorando. Voglio aprire un Patreon.”
Cristo santo, questo era davvero un coglione. Come aveva fatto a mettercisi insieme non lo sapeva neanche lei. Era forse la persona più stupida che avesse mai incontrato, ma era stato dolce con lei, all’inizio. Pensava fosse una di quelle persone con l’anima buona, un sognatore che non aveva smesso di credere nel bello dell’umanità. Poi si era resa conto che era semplicemente stupido. Per quello lo chiamava Capra, perché altro non era che un ignorante (anche se lui pensava fosse per il pizzetto che si era fatto crescere e che sfoggiava con orgoglio).
Un giorno lo avrebbe lasciato. Certo, gli voleva bene, ma non sarebbe passato ancora molto, prima di cacciarlo fuori di casa o di pugnalarlo in pieno petto con un trinciapollo. La verità è che semplicemente non ne aveva le forze, era troppo stanca per prendere in mano le redini della sua vita, non voleva dover pensare anche a come gestire la separazione o come dirlo a sua madre. La spaventava il vuoto, la solitudine. Il pensiero di tornare a casa la sera e sentire il silenzio in casa la terrorizzava.
Si lasciò Capra sul letto alle spalle, si diresse in cucina. Non aveva voglia di cucinare. Aprì una bottiglia di vino, ne bevve un bicchiere. Si fermò un attimo. Ascoltò attentamente, ed eccolo il silenzio, che entrava di prepotenza dentro di lei come un brivido freddo. Bevve un altro bicchiere. Passò una macchina della polizia sotto la sua finestra, fascisti di merda, pensò, e con un effetto doppler il silenzio era tornato.
Cosa cazzo ci faceva ancora con Capra se il vuoto era comunque lì?
Il terzo bicchiere di vino avrebbe riempito il vuoto?
Vide Capra sulla soglia della cucina. Fissandolo nei suoi occhi vuoti gli disse con una strana fermezza nella sua voce:
“Te ne devi andare da casa mia. Non ti voglio più vedere. Adesso.”
“Cosa stai dicendo?”
“Ti s-s-sto dicendo di andartene. Ora. Ti m-m-mando le tue cose a casa di tua madre. S-s-salutami Marcella, santa donna.”
Gli tirò il bicchiere mezzo pieno. Lo mancò miseramente, ma il messaggio era passato.
Capra si diresse verso la porta.
“A-a-aspetta…”
“Dimmi.”
“Prendi la Play. Mi piacciono i tuoi video, sei b-b-bravo.”
“Ma quindi li hai visti?”
“Sì, ma ora vattene.”
Vedendolo uscire si alzò, si diresse verso la finestra, la aprì.
Fece entrare il rumore della città.
Alberto
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