Racconta la liberazione di un personaggio che abbia le seguenti caratteristiche:
è una donna
ha ventisei anni
è balbuziente
è irascibile
vive nei sobborghi di Roma
con una capra.

Non avevo mai pensato davvero alla mia vita.
Insomma, ormai avevo ventisei anni, e mi era parso di averli sprecati.
Così quel giorno, seduta sul mio piccolo balcone, pensai.

Pensai a come ero finita li a Roma, in una città così lontana da casa. Sì, Roma e Milano non sono poi così lontane, ma avevo lasciato tutto. Avevo lasciato I miei amici, che non vedevo e sentivo più da anni, avevo lasciato la mia famiglia, avevo lasciato la mia casa. E tutto solo per venire qui a studiare qualcosa che solo un anno dopo mi resi conto non interessarmi. Ma non potevo certo deludere i miei genitori dicendogli che no, non volevo più fare medicina e salvare vite, non potevo dirgli che avevo lasciato tutto e tutti per… beh, per niente.
Così fingevo, ogni giorno.
La sera mi chiamavano, e io raccontavo loro di quanto fosse andata bene al lavoro, di quante persone avessi curato. E loro erano felici, ed erano fieri. E in quel momento, vedendoli così, ero felice anche io.
La felicità durava il tempo di mettere giù la chiamata: allora mi rendevo conto che lavoravo come cameriera, vivevo in un palazzo che cadeva a pezzi e per avere ventisei anni la mia vita faceva già esageratamente schifo.
Ma non avevo tempo di stare  lì a pensare alla mia vita, dovevo andare al lavoro.
Presi le mie cose, diedi da mangiare alla mia capretta e uscii di casa. È divertente la storia di come ho avuto quella capra, un giorno ve la racconterò.
Andai al locale sotto casa, quello dove lavoravo. Era venerdì sera ed era pieno. Lì al bancone, annoiata e stanca, guardavo i gruppi di amici ridere e divertirsi. Mi mancavano, i miei amici. Al liceo non avevo fatto grandi amicizie, risultavo strana e ridicola agli occhi delle persone, a causa di… a causa di un mio problema. Ma all’università avevo legato con un paio di ragazze. Non facevamo granché insieme, ma solo  il fatto di avere qualcuno con cui condividere la cioccolata e gli appunti prima della lezione per me era una novità.
Qui non avevo nessuno, ero sola. E loro che ridevano tutti insieme e si divertivano. Si scolavano due bottiglie di birra al minuto e  poi tornavano a chiedermene  altre. Li odiavo i clienti, quanto li odiavo. Soprattutto quelli del venerdì sera, già ubriachi prima delle undici. E mentre ragionavo sul mio profondo odio, uno di quegli idioti venne a chiedermi tre birre.
“Mi, mi, mi, mi dispiace. Le, le ab,abbiamo finite.”
“Ei,ti senti bene?”
Lo disse con un tale sorrisino sulle labbra che non riuscii a trattenermi “S,s,s,sì idiota.”
Lui, ridendo ancora più di prima, disse: “Scusa, cos’hai detto? Sarei io l’idiota? Almeno io so parlare”, e se ne andò. 
Lo vidi lì, davanti a me. Camminava verso i suoi amici ridendo, pronto a prendersi gioco di me con gli altri cretini amici suoi. Non resistetti.
“Vuoi la birra?” gli urlai.
Lui si girò di scatto, sapendo benissimo che mi riferivo a lui. Sembrò stupito dal fatto che riuscissi a parlare, ma succede solo quando sono molto, molto arrabbiata: sarebbe stato meglio per lui se avessi balbettato. Lui fece segno di sì con la testa, per rispondere alla mia domanda.
Allora mi girai e, afferrando l’ultima bottiglia che era rimasta, gliela lanciai in testa.
Ero pazza. Una pazza furiosa. Cazzo.
Ero una tale stupida. Mi avrebbero licenziato, di sicuro. Tutto quel sangue  che gli scorreva addosso.
Tutti rimasero a bocca aperta. Mi guardavano. Tutti mi guardavano.
E ora, cosa avrei fatto? Non avrei avuto più un lavoro, avrei perso la casa, i miei genitori avrebbero scoperto tutto e la mia vita sarebbe andata in frantumi.
Presi le mie cose e, correndo, uscii dal locale.
Tornai a casa e, in preda ad un’ansia opprimente, andai sul balcone per prendere un po d’aria.
Ero lì, in piedi, a guardare il cielo, mentre tutta la mia vita andava pian piano a pezzi. Mi sentivo soffocare, non riuscivo più a respirare.
Poco dopo, quella terribile sensazione scomparve.

Mentre la strada asfaltata si avvicinava sempre di più mi sentii tranquilla, calma.
Ero tornata a respirare.
Dopo tanto tempo tutte le mie ansie, le paure, tutta la pressione che mi schiacciava a terra ogni giorno scompariva.
Mi sentii così… c-c-così libera. 

Arianna


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