Racconta la liberazione di un personaggio che abbia le seguenti caratteristiche:
è una donna
ha ventisei anni
è balbuziente
è irascibile
vive nei sobborghi di Roma
con una capra.

Questa storia ha inizio il 18 ottobre dell’anno X, al Pigneto, e narra una piccola parte della vita di Tatiana: una ragazza di ventisei anni un po’ stramba, almeno agli occhi altrui.
Il mondo di Tatiana è diverso da quello che vedono tutti gli altri. Vive in una costante fantasia, circondata da decine di amici e dove la sua balbuzie non esiste. Purtroppo, la realtà è ben diversa da come la immagina lei e io lo so bene, dato che divido la casa con lei.
Eh già, Tatiana non ha quelle decine di amici che si immagina. Ha solo me, Annabella: una capra domestica parlante. Io sono un po’ vecchia, ho già 14 anni. Probabilmente nel giro di pochissimo tempo morirò e Tatiana resterà sola. Ad ogni modo, siccome le voglio molto bene ho deciso di raccontare la sua vera storia a tutti coloro che non la conoscono, o che hanno un’idea sbagliata di lei.
Ma procediamo con ordine, dal principio, quando tutto è cominciato.

La mia padroncina ha perso i suoi genitori quando aveva dieci anni, in un brutto incidente stradale sulla Cristoforo Colombo, la via che collega Roma alla Pontina. Era una bambina bellissima, ma completamente sola. Niente nonni e nemmeno parenti. Per questo motivo è stata mandata in un orfanotrofio.
Lo shock della perdita ha fatto sì che Tatiana diventasse balbuziente. La vita in orfanotrofio, non era certo tutta rose e fiori e quando non riesci a completare una frase senza balbettare almeno dieci volte diventa tutto più difficile. I bambini, già diffidenti, hanno iniziato ad ignorarla completamente e spesso la sottoponevano ad atti di bullismo. Quante volte la mia bimba trovava pipì nelle scarpe o i vestiti buttati in mezzo al parco e quanto si arrabbiava lei ogni volta che accadeva. Urlava, si strappava i capelli, pestava i piedi, sbavava… Veri e propri attacchi d’ira che era impossibile controllare. 
Ogni volta che accadeva, le infermiere Stefania M. e Giovanna P., la sollevavano di peso, la portavano in uno stanzino sotterraneo e le fermavano mani e piedi con delle catene. Questo prima di farle una strana puntura che la faceva dormire per diverse ore filate. Proprio al risveglio di una di queste sue crisi, quando Tatiana aveva dodici anni, ci siamo conosciute.
Dividevo lo stanzino sotterraneo con lei e fino a che non ha compiuto diciotto anni ci vedevamo abbastanza regolarmente, circa una volta alla settimana, che poi era la frequenza delle sue crisi di rabbia. Una volta entrata nella maggiore età e ottenuto il diploma, Tatiana ha abbandonato l’orfanotrofio e mi ha portato con sé. È entrata in possesso della sua eredità, non pochi soldi, lasciati dai genitori e il grande appartamento al Pigneto: un sobborgo romano in riqualificazione.
Dopo il diploma, la mia piccola si è iscritta all’università pensando di cominciare una nuova vita lontana dal dolore della perdita dei suoi genitori e dei soprusi ricevuti in orfanotrofio. Purtroppo, non è stato così: la sua balbuzie e la sua ira non l’hanno aiutata, rendendola di nuovo oggetto di atti di bullismo da parte dei suoi compagni. Ma lei non voleva ammetterlo, ogni volta che tornava a casa mi raccontava di questo o quell’altro amico, di caffè al bar, merende insieme e tutte cose che si fanno all’università. Ahimé, purtroppo, erano tutte cose frutto della sua fantasia.

Come lo so? Beh, perché io ero sempre con lei, anche all’università, e vedevo tutto quello che accadeva.

Tatiana continuava a maturare dolore, rabbia. Un giorno, tornando a casa, le è comparso sul viso un sorriso strano, quasi maligno.
Da lì ha smesso di andare all’università, anche se le mancava solo un anno, e le sue giornate passavano tutte uguali: tra pensieri strani e appunti su un taccuino nero. Aveva un solo obiettivo nei suoi pensieri e sulla carta: vendicarsi di Stefania M. e Giovanna P., le due infermiere che l’avevano maltrattata in orfanotrofio e che le avevano rovinato la vita.

Sono passati oramai quattro anni da quando ha iniziato a maturare il suo pensiero di vendetta ed oggi, finalmente, la mia bambina ha ottenuto la sua liberazione. 

Stamattina Tatiana si è svegliata alle 6:30, si è recata davanti al cancello dell’orfanotrofio e ha atteso. Sono passate diverse ore prima di rivedere quei volti, anche se un po’ invecchiati, delle due orchesse che l’hanno maltrattata a lungo in quello stanzino sotterraneo. Ed ecco che lo ha fatto: con la pistola acquistata al mercato nero ha sparato diversi colpi, fino a mandare KO le due streghe. Dopodiché, la mia bimba ha deciso di usare l’ultimo colpo per sé stessa, cadendo a terra esanime e stremata.

Ero con lei anche questa volta, caro lettore.
Io, Annabella, sono un semplice frutto della fantasia di Tatiana ed è per questo che so tutto di lei. I giornali la descriveranno come una pazza ed instabile, ma io so cosa covava dentro perché lo potevo sentire con tutta la mia anima. Non sto giustificando il suo gesto. Certo avrebbe potuto gestire la cosa in un modo diverso, ma se non lo avesse fatto non si sarebbe mai sentita liberata e le due donne non avrebbero mai pagato per tutto quello che le hanno fatto passare.

Ora io devo andare. Il mio tempo è giunto, ma spero di averti comunque raccontato la vera sofferenza di Tatiana e che tu, come me, non la giudicherai come una maledetta assassina, ma come una donna che nella sua vita ha provato così tanto dolore che non si dovrebbe mai augurare a nessuno.

Valentina


0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *