Al tramonto, in autunno, mentre passaggi tranquillamente nel parco, vedi un vecchio passante, che ti riporta alla mente un ricordo lontano. Descrivi questo ricordo soffermandoti sulle emozioni e le sensazioni che ti suscita.
Non mi è mai piaciuto il sole, mi sono sempre considerata una debole creatura della notte, viva e serena solo nell’ombra.
Il tramonto, però, è la mia eccezione: non mi piace la frutta ma le ciliegie le adoro, odio il freddo ma non se c’è la neve, il bianco mi sta male ma quel maglione mi fa proprio un bel faccino, il sole non mi piace ma amo il tramonto. è il momento di pausa, la spaccatura del tempo, il sublime attimo tra la luce e il l’oscurità, tra la vita e la morte. È il momento della realizzazione: sono qui, oggi sono stato, e domani, forse, riuscirò ad essere.
Il tramonto poi, mio caro amico, acquisisce un velo ancor più magico nei malinconici giorni che vanno dal 20 settembre al 5 o 6 novembre. Quelli sono i suoi giorni di festa, si fa bello e va fuori a divertirsi, ballando un po’ per stesso e un po’ per me che, seduta su quel sudicio muretto, lo guardo ammaliata. Sa di piacermi, e lo adora. Compare solo per me, io lo so. Se non andassi su quel muretto, ogni giorno, lui non uscirebbe a ballare, starebbe in casa, triste, solo, e l’intera umanità inizierebbe a chiedersi “Dove sei, tramonto? Dove sei finito? Sei scappato? Tornerai mai?” E io non posso mica, per carità, turbare una così vasta quantità di animi. Quindi ogni giorno, io, su quel muretto, mi presento: per me, per il tramonto, e per il bene dell’intera umanità.
E quel 7 novembre ero lì, come ogni altro giorno.
Ero un po’ arrabbiata: dopo il 6 novembre iniziava a uscire sempre più trasandato, il tramonto. E io lo sapevo bene, lo guardavo da ventotto anni, con attenzione. Il 7 novembre di quell’anno, però, lui aveva deciso di essere incredibile, di essere più bello di quanto non fosse stato il 24 settembre (che si sa, è il giorno migliore per un tramonto mozzafiato). Ero arrabbiata perché lo faceva apposta, voleva dimostrarmi che non eravamo così legati, che non lo conoscevo così bene, che poteva farsi tutto bello pure il 7 novembre, se voleva. E così ero un po’ arrabbiata e un po’, mi duole ammetterlo, ammaliata. Perché era antipatico, ma comunque bellissimo.
E a dimostrazione del fatto che la frase Già era una giornata di merda non prosegue mai con qualcosa di positivo, un vecchio scorbutico mi si siede di fianco. Sul mio muretto. Il mio. muretto.
Era alto alto, con un vecchio cappotto verde, e niente barba.
Insomma io non vedo l’ora di diventare vecchia solo per vedere tutti quelli che conosco avere la barba, che razza di vecchio sei, se la barba non ce l’hai? Avrei potuto perdonarlo solo perché mancavano due bottoni su quattro, sul suo bel cappotto. Insomma, questa sì che è una cosa da vecchi, non avere i bottoni. E per quanto nella nostra vita ci costringiamo a dimenticare, scordare, cadere nell’oblio senza memoria, ci sono cose che proprio non se ne vogliono andare. Come l’immagine dei due bottoni mancanti sulla giacca di Tramonto: è così che chiameremo il mio ultimo amore a cui ora, per mia sfortuna, ho voglia di pensare. Lo chiameremo Tramonto con la T maiuscola perché era bello, arancione, e si presentava solo da settembre a novembre. Tramonto aveva una giacca senza due bottoni, e io glielo dicevo sempre: “amore, le giacche senza bottoni sono da vecchi, che ti costa riaggiustarla?”, e lui prontamente rispondeva: “a me fastidio non dà, se ti provoca tanta noia cucimeli tu”. E allora io lo lasciavo senza bottoni perché una donna non si mette a cucire solo perché il suo uomo glielo ha chiesto. Tramonto non aveva quei due bottoni ma aveva degli occhi neri che mi facevano impazzire, perché a me di solito piacciono verdi, ma i suoi erano neri ed erano i più belli che avessi mai visto. E poi Tramonto non aveva quei due bottoni però aveva una mente, un modo di pensare, che avrebbe inquietato e contemporaneamente affascinato una qualunque ragazzina appassionata di romanzi russi e vinili come me che, quindi, credeva che dire cose del tipo sei così incantevole da farmi venire voglia di rigurgitare gli organi fosse romantico. Tramonto non aveva quei due bottoni ma aveva delle belle mani, grandi, sottili, con cui mi accarezzava sempre la pancia. Non so perché mi piacesse tanto; sicuramente non perché quel gesto riportava alla mia mente primordiale immagini naturali per una donna come l’uomo che ami che accarezza il tuo grembo, dentro al quale una piccola creatura infagottata sta lentamente nascendo. No. Forse mi piaceva perché la mia pancia io l’avevo sempre odiata, mentre Tramonto non la considerava brutta, ma nemmeno bella, diceva che era “normale”, e per questo io lo amavo. Tramonto non aveva mai ricucito quei due bottoni, ma la notte del funerale di papà faceva freddo e lui voleva mettere quel cappotto. Allora prima di cena avevamo comprato due bottoni rosa accesso, bruttissimi, e li avevamo cuciti. Avevamo riso tanto. E per questo io lo amavo.
“Cosa cazzo ci fa qui quel bastardo? È il 7 novembre”. Il vecchio senza barba e senza bottoni aveva parlato.
“Come, scusi?”
“Ho detto, cosa cazzo ci fa qui quel tronfio di un tramonto? È il 7 novembre, perché diamine non se ne va in letargo?”
Arianna
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