Ambienta ai giorni nostri la storia di Peter Pan, ricordandoti di inserire all’interno della narrazione almeno un’analessi (flashback).
Wendy fissa il mare con stupore. Le pare quasi finto. La vista le si appanna dalla stanchezza e la tavolozza di colori che l’abbagliava fino ad un attimo fa cambia. L’acqua si fa meno limpida, il cielo più scuro. Non c’è più il sole che la scalda, ma non sente freddo.
Ha gli occhi aperti, di nuovo, eppure i pesci non si vedono e il mare è sempre un po’ più triste.
Qualcosa sale a galla. Wendy lo nota da lontano. Se lo ricorda. Ha già visto quel preciso pezzo di plastica, l’ultima volta che è stata al mare.
Era scoppiata a piangere, quel giorno, si sentiva come se fosse colpa sua, come se quel lontano oggetto indistinguibile l’avesse lanciato lei e fosse compito suo andare a riprenderlo il prima possibile.
Gli occhi le pizzicano ancora. Si gira cercando i suoi fratelli, ma non sono più lì.
Sente ancora la corda che la stringe legandola stretta all’albero della nave, come se la stesse tenendo avvinta a un mondo che non è il suo. Le gira la testa, mentre il silenzio è talmente opprimente da impedirle di pensare a qualunque altra cosa.
Il mare non c’è più. È bloccato dentro una stanza, tutta grigia, piccola e bassa. Se ci fosse una finestra, probabilmente scapperebbe, ma il suo corpo non riesce a muoversi.
Rimane immersa per un po’, fin quando un rumore, più forte dell’insopportabile silenzio, scuote le pareti della stanza.
Wendy sente le mani calde di qualcuno che le cinge i fianchi. Non lo vede, ma lo riconosce. Lui l’abbraccia e le dice che va tutto bene, ma lei sa che non è vero.
Si sente meno sola, eppure là, nella sua mente, vede ancora la stanza vuota e senza uscita.
Giulia Cappelletti
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